Dare ascolto all’imprevisto, il racconto delle tutor del laboratorio di progettazione

Giorgia Greco e Erika Gibboni, assistenti delle professoresse Maria Luisa Barelli e Paola Gregory del Dipartimento Architettura e Design del Politecnico di Torino, hanno coordinato le attività del laboratorio di progettazione con la classe III D dell’IC Turoldo da marzo a maggio 2019. Raccontano in prima persona l’esperienza di progettazione con i ragazzi.

 

 Osservare la città con lo sguardo di un bambino è un esercizio estremamente difficile per gli occhi di un adulto. Spazio pubblico, rigenerazione, processi di partecipazione e inclusione, spazio condiviso, bene comune e città sono parole complesse, semanticamente discusse da studiosi e ricercatori. Dunque, la prima domanda che ci siamo poste è stata proprio: “come poter interagire con i ragazzi, come poter comunicare loro il significato di questi concetti in maniera chiara, diretta e stimolante?”

In realtà, a posteriori, possiamo dire che le prime ad aver imparato qualcosa siamo state noi, tutor degli studenti di una classe di terza media dell’istituto Turoldo, nel cuore del quartiere Vallette. Come prima cosa, abbiamo imparato una lezione paradossalmente molto semplice: dare ascolto all’imprevisto, a quella voce infantile e imprevedibile che si nasconde dentro ognuno di noi e che ci permette di guardare il mondo con gli occhi di chi lo vede fiorito anche d’inverno.

Il percorso educativo ha preso forma in maniera spontanea, cercando di avvicinarsi il più possibile alle richieste e alle fantasie dei ragazzi – che di inventiva e creatività sono fortunatamente pieni dalla testa ai piedi – seppur secondo una linea guida da noi precedentemente impostata. Abbiamo programmato un percorso educativo a tappe in cui i ragazzi sono stati gradualmente portati alla definizione di un bagaglio di conoscenze rispetto al tema centrale del laboratorio: il gioco nello spazio pubblico. Tema delineato delle nostre docenti del Politecnico di Torino Maria Luisa Barelli e Paola Gregory insieme a Cliomedia Public History e gli insegnanti dell’istituto Turoldo.

Cos’è lo “spazio pubblico”?

Il primo passo è stato relativo alla costruzione di un background di consapevolezze rispetto allo “spazio pubblico”, attraverso strumenti quali brain-storminge story-telling. I ragazzi, coinvolti in attività contemporaneamente ludiche e formative, hanno costruito insieme l’idea di “spazio pubblico” utilizzando i termini che, secondo loro, ne definiscono i caratteri peculiari.

Primi esiti di questo ragionamento sono parole significative quali ad esempio “libertà”, “comunicazione”, “incontri”, “gioco” e, con un imprevisto e curioso refuso grammaticale, il (quasi ad imperativo) “accogliete”. Sì, perché i ragazzi che hanno preso parte all’attività hanno provenienze e culture diverse e, anche per questo motivo, lavorare insieme a stretto contatto ci ha permesso di abbracciare ed indagare differenti punti di vista, più o meno consapevoli, su come un luogo pubblico dovrebbe essere in relazione a coloro che ne fanno uso.

Il percorso si è quindi poi diretto proprio verso la descrizione dello spazio pubblico inteso come luogo di incontri, di eventi, di giochi, di festa e inclusione. Da noi guidati, i ragazzi hanno costruito un ragionamento sul significato di quello che è l’uso dello spazio, un uso che può essere permanente o temporaneo. In questo senso, il gioco del memory, semplice e stimolante al tempo stesso, è stato strumento per la comprensione di tale concetto e ha permesso ai ragazzi, divertendosi, di abbinare alle fotografie di più spazi pubblici “vuoti” le immagini corrispondenti degli eventi inseriti negli stessi.

Successivamente, sempre con un approccio poco “frontale”, i ragazzi sono stati spinti ad una caccia al tesoro,(altro esercizio utile per il loro coinvolgimento totale, sia fisico che mentale), durante la quale hanno toccato con mano il tema del gioco, sempre sotto forma di oggetto all’interno di luoghi pubblici. Durante quest’attività, sono stati presi in analisi diversi casi studio (italiani ed internazionali, passati e contemporanei) utili a far comprendere come il progetto architettonico e urbano abbia un ruolo fondamentale nella rigenerazione dello spazio pubblico di realtà periferiche: piazze, vie, slarghi, rotatorie, parchi, edifici pubblici e persino spazi di risulta sono spesso riprogettati come luoghi dell’intrattenimento, luoghi in cui il carattere dell’inclusione sociale si fa da movente ed elemento fondante.

Lo studio di un caso

Caso di riferimento è stato, in quest’ottica, l’intervento Superkilen nel distretto di Nørrebro a Copenhagen, realizzato in collaborazione tra gli studi di arte ed architettura Superflex, Bjarke Ingels Group e Topotek1. Tale progetto, che fa della diversità culturale delle comunità locali il proprio punto forte, inserisce all’interno dello spazio pubblico una serie di elementi di arredo urbano provenienti da tutto il mondo. La celebrazione della diversità è il file rouge: molti degli oggetti inseriti sono stati appositamente importati o riprodotti, quali ad esempio panchine dal Brasile, oscillazioni dall’Iraq, una fontana dal Marocco, cestini dall’Inghilterra, e così via. In tutto, 108 piante ed artefatti mostrano la diversità etnica della popolazione locale, nel tentativo di proporre lo spazio pubblico come luogo di inclusione sociale.


Il plastico

Da qui, il percorso educativo si è dunque finalmente incentrato sulle Vallette, considerando come spazio pubblico principale le piazze Eugenio Montale e Don Pollarolo, entrambe centrali nella conformazione del quartiere. In questo senso, un ruolo fondamentale è dato dalla costruzione di un plastico in scala 1:100, un modello tridimensionale sul quale i ragazzi hanno potuto ragionare e lavorare in maniera fisica, toccando e spostando con mano gli oggetti e le architetture che compongono lo spazio.

Obiettivo della modellazione di questo plastico è, infatti, il raggiungimento di una consapevolezza spaziale e dimensionale da parte dei ragazzi, i quali hanno dovuto effettuare un’operazione non banale di astrazione dalla realtà e di comprensione della stessa attraverso la riduzione di scala. Una volta raggiunta tale capacità e una volta concluso il plastico dello stato di fatto, i ragazzi hanno assunto il ruolo del progettista, cercando di immaginare un nuovo volto per le due piazze, un volto che in qualche modo le rigenerasse e unisse sotto una nuova luce.

Per questo, attraverso il tema del gioco e il lavoro sul modello, abbiamo costruito insieme l’idea di un evento temporaneo che potrebbe avere luogo proprio nella zona centrale del quartiere, una festa dedicata allo svago e al divertimento, che possa coinvolgere persone di tutte le età e di tutte le provenienze.

La “Festa del Gioco”

In questa “Festa del Gioco” (così ci piace chiamarla mentre ritagliamo e incolliamo cartoncini colorati sulla nostra città ideale), le piazze Montale e Pollarolo prendono nuova vita insieme, colorandosi di allegria attraverso il disegno a terra di un grande gioco dell’oca che, con un percorso di 145 caselle, permette di attraversare unitariamente tutta la zona centrale del quartiere, includendo anche luoghi normalmente dimenticati (immagini in allegato). Protagoniste si fanno quindi le tappe di questo gioco, alcune colorate, alcune decorate a tema floreale (riprendendo i nomi delle vie del quartiere), alcune più grandi con all’interno sfide più complesse per i giocatori (dalla dama alla battaglia navale, dagli indovinelli su poeti, poesie e fiori ad un percorso ad ostacoli tra corde ingarbugliate) e altre più divertenti ed interattive (come la scelta di ricostruire un grande salotto in cartone di fronte a una parete su cui, sapientemente disegnate, delle ali di farfalla sospese tra le righe di una poesia di Montale permetterebbero ai ragazzi di fotografarsi e postare l’evento sui social).

In conclusione, al termine di questa esperienza di collaborazione, in cui più voci si sono intrecciate in armonia, ciò che ci rimane è la speranza di un riscontro a lungo termine, l’augurio che, partendo anche dal lavoro con i più piccoli, i luoghi possano trasformarsi positivamente, ricordandoci che la città dovrebbe essere immaginata dall’uomo per l’uomo, in ogni suo angolo.

Bisogna considerare la città per incontrare noi stessi.
Perché incontrare la città è come riscoprire il bambino che è in noi.
E se il bambino che è in noi riscopre la città,
la città riscoprirà i bambini – e noi stessi.
Aldo Van Eyck, 1962